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Pettorano sul Gizio (AQ)

 


Con lo sguardo verso la stazione alla nostra sinistra, saliamo a piedi lungo via Roma, un tempo la via “nuova”, passiamo davanti a palazzi signorili – Vitto Massei, Croce che conserva un frammento di un Edictum di Diocleziano, – segni di una dignità storica e architettonica del paese che nel Settecento conobbe il periodo di arricchimento del nucleo urbano. Superiamo case e giardini chiusi, al quartiere Cencio si trova la porta omonima da cui si prosegue verso la piazza Umberto I. Una scritta del Touring club degli anni sessanta indica “Pettorano sul Gizio altezza 656 metri”. I caratteri rimandano a un’Italia che cominciava a vivere la ripresa e il boom economico, il benessere a portata di mano. Qui dalla Cencia negli anni Cinquanta della grande emigrazione del paese partivano i pullman per Napoli, da dove si sarebbero imbarcati i pettoranesi in cerca di fortuna verso l’America e il Canada. «La migrazione ha svuitate/ le case… Quanta gente è partita!/ Quanta gente se n’è ita!» recita un verso di Vittorio Monaco, poeta e scrittore di Pettorano a cui l’amministrazione comunale l’estate scorsa ha dedicato una strada del quartiere. Agli inizi del Novecento il paese era il centro più popoloso della valle Peligna dopo Sulmona e Pratola. La struttura urbanistica lo testimonia, una popolazione che superava 3000 abitanti. Poi le migrazioni, l’urbanizzazione, altri progetti di vita e esigenze di lavoro hanno ridotto il numero dei residenti. Proseguiamo verso la piazza, alla curva prima di arrivare, facciamo una deviazione e giriamo a destra, a cinquanta metri si trova la Castaldina, palazzo settecentesco di stile barocco. Risaliamo in piazza Umberto I. La Chiesa madre, la Casa municipale, datata 1828, che nel nitore della costruzione rappresenta perfettamente il ruolo che aveva un tempo di sede del Comune, oggi invece alloggiato nel palazzo Ducale. Un manifesto della Pro loco ricorda un appuntamento gastronomico,

 

 

nella bacheca c’è una foto di un tipico costume pettoranese a cui l’associazione ha dedicato ricerche storiche e iniziative sulla riscoperta e la valorizzazione della “tuvaglia”, come affettuosamente è chiamato l’abito tradizionale di Pettorano. La stessa associazione ogni anno organizza la sagra della polenta,il 5 gennaio. La polenta carbonaia, tagliata a fette e condita con la pancetta e le salsicce è il cibo povero, testimonianza di una cultura popolare e contadina. Oggi è un piatto ricercato, prelibato e quella pettoranese è una esclusiva per veri cultori, i turisti che visitano il paese sempre più numerosi ne apprezzano il gusto. La fontana monumentale di Anfitrite e Nettuno troneggia nella piazza, con il suo gioco di acque. L’acqua, le fontane sono presenze ricorrenti, amiche, che scandiscono il tempo e salutano il visitatore. Non esiste paese che abbia più fontane di Pettorano, si dice da queste parti. La sorgente del Gizio è nel cuore della valle di Santa Margherita, la protettrice del paese che si festeggia il 13 luglio. “Chi non torna a Santa Margherita o se’ muèrte o se’ perdute” dice un proverbio popolare. Dalla piazza un suggestivo belvedere si affaccia sulla stessa valle, si intravede la cima del Genzana, si sente lo scorrere del fiume tra la pineta e le rue e le stradine del nucleo di case del borgo antico, via Piaia e la porta dei Mulini, sullo sfondo il cimitero vecchio, in basso il mulino e la ramiera, gli opifici del parco archeologico industriale. Sulmona in lontananza, si scorge nella tersa giornata invernale anche il Gran sasso innevato. Silenzio, il mormorio dell’acqua della fontana ci accompagna mentre entriamo nel cortile Zannelli. Una piccola elegante corte lastricata, al centro la fontana, sulla sinistra il palazzo Ducale oggi sede del municipio, della biblioteca e dell’ufficio della riserva naturale di Monte Genzana. Sulla facciata una meridiana segna il tempo che fugge. Il tempo, la storia, le memorie ci accompagnano salendo

 

 

verso il Castello dei Cantelmo, nella parte alta del paese, il Muraglione, lungo suggestive stradine, dove negli slarghi affiora la roccia, tra oleandri e vasi di geranio,dopo aver superato un decoroso palazzo settecentesco dalle finestre a bifora. Il castello si trova in piazzetta Arischia, lo raggiungiamo attraverso una stretta fenditura tra le mura della torre e le case, che sembra un passaggio segreto. La costruzione del castello risale al 1093, nell’XI secolo ha avuto inizio l’incastellamento del paese. Nelle pietre e nelle fessure sembrano risuonare le vicende delle lotte per l’investitura di epoca medievale, le scorribande di eserciti papisti e imperiali giunti fino a Pettorano. Tra le sue mura si sono succeduti duchi traditori, famiglie in lotta schierate con gli Svevi o gli Angioini. Il castello conservato perfettamente grazie alla ristrutturazione, ospita una sala conferenze accogliente dove si svolgono convegni e mostre. Saliamo i gradini in pietra della scalinata esterna, percorriamo il camminamento fino alla torre: da qui la veduta è magnifica, lo sguardo spazia verso Sulmona e mentre si scorgono i castelli di Roccacasale e Popoli, si comprende meglio la funzione strategica di avvistamento. Proprio qui dal castello ogni anno il 31 dicembre a mezzanotte si svolge la serenata di Capodanno, un concertino di musici e cantori saluta il nuovo anno cantando la canzone beneaugurante, composta per l’occasione da un autore pettoranese. Gli orchestrali girano tutta la notte, accompagnati via via da un coro spontaneo che si fa sempre più numeroso e si riscalda nelle soste accanto ai fuochi accesi per l’occasione, dal castello fino alla piazza e lungo i vicoli e le stradine. La consuetudine risale agli anni trenta, negli anni cinquanta ha conosciuto il momento di canzoni sono divenute memoria personale e collettiva del paese, i pettoranesi dovunque si trovino, in Italia e oltreoceano, le hanno imparate, cantate e trasmesse ai

 

 

propri figli. La serenata è organizzata dall’Associazione culturale Pietro De Stephanis, che si occupa di recupero e valorizzazione della storia, della cultura e delle tradizioni del paese. Il notaio De Stephanis era un personaggio originale, sindaco e consigliere comunale, nel 1865 fece votare un ordine del giorno dal consiglio comunale di Pettorano contro la pena di morte, studioso e autore di storiografie abruzzesi. Subito uscendo dalla piazza del castello si trova l’antica stazione di cambio dove si fermavano i cavalli e si ristoravano i viaggiatori lungo la strada napoleonica, che da Pettorano risale a Roccapia e poi si immette nell’Altipiano di Cinquemiglia. Oggi la napoleonica è una stradina sterrata che si arrampica nei boschi e nelle faggete, meta di passeggiatori e biker. Un tempo era la strada che Gioacchino Murat ufficiale di Napoleone fece scendendo verso Napoli, quando con i suoi soldati insieme alle baionette voleva portare le parole della rivoluzione. A pochi metri da qui uno slargo e un sentiero segnalati da una scritta, panorama Escher, ci inducono a proseguire. Un’ultima sorpresa che regala Pettorano al visitatore, un luogo dell’anima in cui il famoso artista e matematico olandese si fermò attratto dalle morbidezze del paesaggio, dal verde profondo dei boschi e dall’aria limpida. E qui nell’azzurro del cielo di febbraio sembra di rivivere il momento in cui Escher tratteggiò il suo disegno, la sua cartolina da Pettorano indirizzata al resto del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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